#Capitan’MurricaSalvaIlMondo

29 Ago

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È dal  giugno del 1950 che ci provano. Davvero, ci provano, ma è più forte di loro. Si sono sentiti i salvatori del mondo civilizzato quando nell’aprile del ’45 misero fine alle ostilità (almeno a quelle armate) del conflitto più sanguinoso della Storia. Da allora, come una vecchia stella del cinema decaduta, gli Stati Uniti d’America cercano di replicare il successo ottenuto tempo addietro con quel capolavoro di logistica e strategia che li ha portati di diritto in cima al Mondo civilizzato (o almeno così ci piace chiamarlo). Così, fiutando in giro per la NATO, hanno sfruttato l’incapacità bellica francese, anch’essa alimentata a ricordi, per gettarsi nella mischia e riconfermarsi paladini della giustizia imbarcandosi in un conflitto impegnativo come quello coreano dei primi anni ’50 e da cui sono usciti a testa bassa. Ma il Fato è generoso, ed ancora una volta gli si offre il destro, stavolta in Vietnam; un paese dagli equilibri ancora più delicati, in cui non era il caso di mettere piede con la mentalità occidentale ed una motivazione debole, e invece no. Al grido di “cepensoio” sono arrivati gli americani. Sappiamo bene tutti come è stato difficile dichiarare di non aver perso la guerra mentre si stavano imbarcando sugli elicotteri dal tetto di quell’ambasciata di Saigon. Ma gli americani hanno la testa dura, e decidono da bravi protestanti di impegnarsi ancora di pù nel lavoro per meritare il Paradiso. Così, in piena guerra fredda, si mettono a spalleggiare un nemico fastidioso per i russi (che, forse, non dimenticheranno mai questo piccolo torto) quali i mujaheddin e che, col senno di poi, forse non era poi tanto il caso di addestrare e finanziare. Nel frattempo arrivano gli anni ’90 che spazzano via il riflusso del decenio precedente e, carichi di ottimismo, abbattono il confine di cemento nel centro d’Europa. Il Popolo Democratico decide che è ora di cambiare il volto del medio-oriente stavolta e si getta a capofitto neli sabbiosi paesaggi iracheni, dopo aver tenuto d’occhio la situazione di quel paese alle prese con l’Iran; tanto che al primo passo iracheno sul confine del Kwait piombò in quel paese un intero contingente internazionale. Fatto curioso: pur “vincendo” la guerra, gli U.S. ne uscirono adombrati per l’opinione pubblica per via della diffusione mondiale delle immagini di cosa sia una guerra. Chiunque avrebbe imparato la lezione, a questo punto, ma gli americani son testoni, e decidono di riprovarci dieci anni dopo, nel 2003 (tralasciamo Mogadiscio e facciamo un salto temporale), di nuovo in Iraq (se la sono legta al dito). Stavolta ci vanno per rovesciare Saddam e fare il culo al terrorismo internazionale; e già che ci sono, vanno a cercare anche quel cattivone di Osama in giro per le grotte afghane perché, ora, non sono più amici dato che i russi stanno buoni e che ha ordinato la distruzione del simbolo del potere capitalista e bla… bla… bla… (o forse sa troppo). Sta di fatto che dopo altri dieci anni di 5.56, si accorgono che sarebbe stata un’altra guerra che non avrebbero potuto vincere e nel 2011 iniziano aritirarsi dalla Mezzaluna Fertile. Arriviamo ad oggi, ad un 2013 brillante di fosforo e razzi in tutto il mondo arabo mediterraneo. La “primavera araba”, incoraggiata dalle potenze occidentali, si espande rapidamente fino ad arrivare in Siria. Dapprima ignorata da tutti, dopo circa un anno di scontri finalmente ottiene visualizzazioni su youtube e diventa un caso internazionale talmente scottante da far chiedere aiuto a gran voce ai valorosi Stati Uniti d’America. Peccato che la richiesta venga da tutti tranne che dalla Siria stessa, schiacciata in un terrificante abbraccio fra l’intervento americano e il disappunto cino-russo per aver creato le condizioni tali per cui Capitan Obama si sentisse in dovere di “aiutare” un paese in difficoltà. Che fare oggi, dunque? La palestrata e rodata logistica guerriera degli U.S.A. schiaccerebbe esercito e ribelli siriani in meno di una settimana, ma che farà quando si troverà davanti allo sguardo nervoso di mamma Russia?

Va bene riprovarci, ma non imparare dai propri errori è indice di stupidità più che di tenacia.

 

#Giampaolo

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